Ore a piedi: 2,15
Difficoltà: T - Turistico
Ulteriori dettagli , Mappa e GPX
Il percorso "Valmaron - Connessione delle memorie" valorizza le radici storiche e naturali del luogo. La zona, terra contesa già dal 1600, fu in prima linea nella Grande Guerra. La tempesta Vaia del 2018 ha poi radicalmente modificato il paesaggio. L'itinerario, con sei punti di riflessione e opere in legno, invita a meditare su uomo, storia e resilienza.
Di seguito, oltre alla descrizione dell'itinerario, sono riportate le informazioni fornite nelle tabelle lungo il percorso.
IL PROGETTO
Oggi, per fretta, per superficialità e per poca consapevolezza si tende a non porre un particolare accento sulle radici di ciascuno ed in particolare sulle radici comuni. Alcuni addirittura le vorrebbero cancellate perché simbolo di un passato remoto e doloroso che non deve tornare più: una sorta di "damnatio memoriae", l'antica pratica che voleva cancellata ogni traccia dai documenti di una certa persona o di un certo evento, una condanna a "non essere più" perché "non sei mai stato". Ecco, quindi, l'origine del nome di questo percorso "Connessione delle Memorie", dove il richiamo classico nel logo "MEMORIÆ" vuole essere un simbolo di una pluralità di storie che sono arrivate fino a noi e che abbiamo il dovere di passare ai posteri; ma vuole anche essere "complemento di termine", ossia la memoria come fine della nostra azione. Se il visitatore potrà conoscere con questo percorso le storie di Marcesina e delle sue genti, egli si sarà connesso con questa montagna in un modo che non potrà più dimenticare. Con il progetto "Connessione delle Memorie", l'Amministrazione comunale di Enego ha quindi voluto istituire un percorso della memoria in grado di concorrere alla valorizzazione della zona di Valmaron e di Marcesina. Due zone fortemente segnate sia dai combattimenti della Prima Guerra mondiale (1915-18) in quanto aree di confine con l'Impero Asburgico, sia dalla Tempesta Vaia cent'anni dopo (2018). Lungo questo percorso di circa 7,5 km con un dislivello di circa 130 m, si trovano sei punti di interesse e riflessione, dove è presente una tabellonistica con immagini e testi rappresentativi, delle sedute e delle opere artistiche realizzate con il legno di conifere abbattute dalla Tempesta Vaia.
LA STORIA
Marcesina fu per secoli una terra di confine molto contesa per i verdeggianti ed estesi pascoli e le ricche foreste. Il nome deriva dalla lingua cimbra Merck-wisen, ossia prati di confine. Questa terra lungamente disputata, talvolta ha generato vere e proprie operazioni militari di rappresaglia, come quella del 1602, a causa del malcontento per gli accordi che si tentavano di raggiungere. All'interno di questo aspro contenzioso per un'annosa questione territoriale che si trascinava da almeno quattro secoli, dopo l'analisi dei documenti effettuata dalle rispettive Cancellerie di Stato (Austria e Serenissima), il Trattato del 1751 venne solennemente ufficializzato attraverso l'emissione della cosiddetta Seconda Sentenza Roveretana, pubblicata il 13 maggio 1752, a cui seguì il posizionamento di 29 Termini (cippi in pietra). Questi Termini segnavano visivamente il confine tra il Regno d'Italia e l'Impero Austro-Ungarico. Allo scoppio della Grande Guerra l'Italia decise di rimanere inizialmente neutrale ma quasi un anno dopo entrò nel conflitto a fianco di Francia ed Inghilterra. Così, alle ore 3:55 del 24 maggio 1915 partirono i primi due colpi di cannone da Forte Verena, proprio su questo Altopiano, verso le fortezze austro-ungariche situate sugli altipiani di Lavarone e Folgaria. Marcesina e Valmaron, essendo zone di confine, furono direttamente interessate dal conflitto. Terminata la Grande Guerra, quello che prima era parte dell'Impero Asburgico venne annesso all'Italia ed oggi quei 29 Termini indicano il confine amministrativo tra due regioni italiane, il Veneto ed il Trentino-Alto Adige.
LA TEMPESTA VAIA
Nell'ottobre 2018, Vaia ha colpito prevalentemente il Nord-Est dell'Italia abbattendo 8,6 milioni di m3 di legname e coinvolgendo una superficie di 41.000 ettari (fonte: Dipart. TESAF dell'Università di Padova). Questi venti di scirocco estremi che soffiarono anche oltre i 200 km/h (fonte: Regione del Veneto, Agricoltura e Foreste) hanno colpito l'intero Altopiano dei Sette Comuni, interessando anche le Regioni e le Nazioni vicine, quali Austria, Svizzera e Slovenia.
Nella sola Piana di Marcesina sono stati abbattuti circa 1.000 ettari per un totale di circa 350.000 alberi (fonte: Comune di Enego), quasi esclusivamente abete rosso, specie maggiormente presente in quest'area. Le foreste alpine sono abituate a convivere con diversi fenomeni meteorologici ed ambientali (ad es. abbondanti nevicate, freddo, attacchi parassitari, ecc.), sviluppando delle specifiche strategie per cercare di resistere a tali avversità. Nel caso estremo, se da un lato si verifica la caduta di migliaia di alberi, dall'altro si sviluppano delle condizioni ideali che facilitano l'ingresso di nuove piante ed animali nell'ecosistema, aumentando così la biodiversità in questi nuovi spazi aperti e generando nuove comunità sia resistenti che resilienti.
Dall'enorme parcheggio si procede in salita a nord-ovest verso Malga II° Lotto.
Inizio del percorso
Vista sul parcheggio
Malga II° Lotto
All'incrocio si prosegue a sinistra.
Proseguire a sinistra
Panorama
Dopo un'ampia curva a sinistra si arriva al primo tabellone.
Il primo tabellone
Biodiversità (Gianluigi Zeni)
L'EVOLUZIONE DEL BOSCO
I primi uomini giunti nella Piana di Marcesina si sono trovati di fronte a selvagge foreste vergini caratterizzate da consociazioni simili alle odierne, ma più ricche in biodiversità. Faggio, abete rosso e bianco venivano affiancati a qualche acero, betulla e sorbo degli uccellatori. Basti immaginare una foresta con diverse forme, età (giovani e secolari alberi anche di 400-500 anni) e fasi di vita arborea. Colonne vegetali vive e prospere affiancate a "legno morto", dovuto ad esempio, a qualche raffica di vento o ad ingenti nevicate. Un ecosistema con un ciclo vitale completo in cui la morte di una pianta si trasforma in fonte di vita: un ecosistema resiliente e resistente ai fenomeni naturali, in continuo mutamento grazie anche alla sua diversità. Ad un tratto l'uomo ebbe bisogno di nuove terre e si adoperò ad istituire rigogliosi pascoli per le sue greggi, creando fratture nella foresta e deceppando la zona. Via via che gli anni passarono vennero costruiti, grazie al legno delle foreste, anche dei ricoveri. Così, sempre più pastori occuparono Marcesina nella bella stagione: una vita secondo il ritmo delle stagioni e di ciò che la natura offriva. Successivamente cominciò anche il commercio del legname. Per secoli gli alberi più grossi vennero tagliati e condotti, grazie a cavalli e buoi, fino alle ripide discese delle vecchie mulattiere "Piovega di Sopra" (per gli abitatori di Enego) e Pertica (per gli abitatori di Grigno), così da giungere fino al fiume Brenta, dove zattere fluitanti li avrebbero condotti fino a Venezia.
La storica foresta vergine ebbe una prima importante crisi tra il 1600 ed il 1800 quando l'incremento della popolazione spinse verso un aumento della superficie di pascolo a discapito del bosco e vennero installate delle teleferiche tra Barricata e Grigno. Nonostante il susseguirsi di estrazioni di risorse, nella storia di queste foreste non v'è nulla di paragonabile all'annientamento subito a causa della Prima Guerra Mondiale (1915-1918). Un Conflitto che vide la terra di confine dell'Altopiano dei Sette Comuni impegnato per ben 41 mesi in prima linea. Un Conflitto che sconvolse per sempre i ritmi e le stagioni della montagna; basti pensare alla scomparsa di circa l'85% del patrimonio boschivo. Enego non fu uno dei Sette Comuni più colpiti, eppure la percentuale di bosco rasa al suolo fu ingente anche a Marcesina. La foresta non venne distrutta solo per i bombardamenti e gli incendi, ma anche in quanto "risorsa legno". Col legno di queste foreste si costruirono trincee ed infrastrutture e si scaldarono migliaia di soldati, riuscendo così a sopravvivere in quei lunghi anni. La foresta dovette sopportare un depauperamento di risorse unico nella storia dei boschi dell'Altopiano dei Sette Comuni. Una ferita alla Piana di Marcesina che l'uomo tentò di rimarginare, assecondando la necessità di rinascita e vitalità, procedendo ad un'ardita piantumazione costituita da boschi per lo più monospecifici di abeti rossi ed in minima parte di faggi e spinti, inoltre, da una pianificazione forestale che valorizzava il solo aspetto economico. Ciò comportò una perdita di biodiversità oggi rivelatasi alquanto discutibile, che indubbiamente indebolì il bosco, l'ecosistema e la montagna tutta.
Il paesaggio boschivo di Marcesina ha subito, quindi, continue trasformazioni nel corso della storia ed oggi più di allora, a causa dei cambiamenti climatici, delle infestazioni da bostrico e soprattutto a causa degli interventi dell'uomo, è soggetto ad un celere mutamento. Quale sarà il suo futuro?
Aristide Baragiola scrive così nel suo libro "La casa villereccia delle colonie tedesche veneto- tridentine" (Taucias Gareida, 1989):
“Capanne di boscaioli ne vedemmo parecchie sulla vasta prateria di Marcesina, meta gradita di alpinisti e cacciatori. Esse hanno una forma rettangolare, sono alte, lunghe e larghe pochi metri, colle pareti a tronchi di alberi scortecciati o meno, e consegnati cioè incrociati agli angoli secondo il sistema Blockbau, o, come si dice in cimbro, mit inkastraran Rafesan, vale a dire con travi incastrate. Gli abitatori si chiamavano tiranti (Zigarbeck), perché tirano o trasportano il legname, d'inverno sulla neve, d'estate sul Roedelbeg, o viottola a brevi tratti attraversata da travicelli fissati alle estremità con chiavicchie, travicelli che usano basare per renderli più scorrevoli. I tiranti costruiscono anche baiti a travi sovrapposte, ma non incastrate.”
Dopo il primo tabellone si prosegue verso sud.
Dettaglio del percorso
Dettaglio del percorso
Oltre a normali tabelle di direzione, il percorso è anche segnalato da questi cerchi in legno:
Indicazione del tracciato
Lungo il cammino si può chiaramente notare che prima di Vaia la strada doveva essere all'ombra di abeti che adesso non ci sono più ... Quindi il percorso è tutto esposto al sole!
Dettaglio del percorso
Dettaglio del percorso
La seconda tabella racconta della Grande Guerra.
Tabella informativa
Forte Lisser, il Leone dell'Altipiano (Gianluigi Zeni)
Panorama con il Monte Lisser
LA GRANDE GUERRA
Questi pascoli di confine sono stati settori "caldi" durante il conflitto Italo-Austriaco: si potevano raggiungere velocemente i più cruenti campi di battaglia come "le Melette" o la linea "Caldiera-Ortigara", oppure verso est si osservavano la "Dorsale del Grappa" e punti strategicamente importanti come i Monti Lisser e Castelgomberto.
A dominio di Valmaron e Marcesina fu costruito il Forte Lisser, ribattezzato dai corrispondenti di Guerra il "Leone dell'Altipiano". Questa fortificazione, oggi completamente ristrutturata e resa visitabile, faceva parte dello sbarramento Brenta-Cismon, assieme al Forte Cima Lan e Forte Cima Campo, con lo scopo di controllare la sottostante Valsugana, Marcesina ed i settori adiacenti come le Melette di Gallio e di Foza. Dall'altra parte della Piana, invece, si sarebbe dovuto costruire il forte "Col del Meneghini", un'opera composta da un unico blocco di calcestruzzo armato a forma di trapezio rettangolo con un fossato asciutto che avrebbe circondato quasi interamente il perimetro. A seguito del progetto approvato nel 1907 da parte dello Stato Maggiore Austriaco, questo forte avrebbe dovuto supportare il forte Antenne nello sbarramento di Grigno ma, per ragioni principalmente finanziarie, non si procedette alla sua costruzione. Per quanto riguarda la costruzione del forte Lisser, i lavori iniziarono nel 1911 e terminarono alla fine del 1914 e furono svolti sia dal Genio militare che da ditte civili. Per la sua costruzione furono utilizzati materiali provenienti da alcune cave della zona, mentre, per l'arrivo dei materiali a quota 1633 m, si utilizzò una teleferica che partiva da Primolano, passava per loc. Tombal ed arrivava nel piazzale frontestante il forte. Tra le testimonianze più famose di queste montagne, bisogna ricordare il Tenente Adolfo Ferrero, ventenne torinese del 3° Battaglione Val Dora, medaglia d'argento al Valor Militare. In una lettera-testamento indirizzata ai suoi genitori, racconta tutta la pesantezza nell'animo di un giovane uomo consapevole della sua triste fine. Infatti, il giorno dopo aver scritto la lettera, il Ten. Ferrero cadde sull'Ortigara ed in quello successivo venne colpito anche il suo attendente, portatore della missiva. Il corpo di questi fu coperto da una copiosa nevicata ed il ritrovamento della salma, assieme alla lettera ancora riposta nella giacca, avvenne solo nel 1958. La lettera è conservata al Sacrario Militare del Leiten ad Asiago dove ancora oggi è possibile vedere il sangue dell'attendente che ha fatto da inconsapevole scrigno per questa memoria storica.
Una parte della lettera del Ten. Ferrero:
"Ore 24 del 18 giugno 1917
Cari genitori,
scrivo questo foglio nella speranza che non vi sia bisogno di farvelo pervenire. Non ne posso, però, fare a meno: il pericolo è grave, imminente. Avrei un rimorso se non dedicassi a voi, questi istanti di libertà, per darvi un ultimo saluto. Voi sapete che io odio la retorica... no, no, non è retorica quello che sto facendo. Sento in me la vita che reclama la sua parte di sole, sento le mie ore contate, presagisco una morte gloriosa, ma orrenda... Fra cinque ore qui sarà un inferno. Tremerà la terra, s'oscurerà il cielo, una densa caligine coprirà ogni cosa, e rombi, e tuoni e boati risuoneranno fra questi monti, cupi come le esplosioni che in questo istante medesimo odo in lontananza. Il Cielo si è fatto nuvoloso, piove. ...Vorrei dirvi tante cose...tante..., ma voi ve l'immaginate. Vi amo. Vi amo tutti tutti. Darei un tesoro per potervi rivedere... ma non posso... il cieco destino non vuole.
Penso, in queste ultime ore di calma apparente, a Te papà, a Tè mamma, che occupate il primo posto nel mio cuore, a Te Beppe, fanciullo innocente, a Te o Adelina.... addio...che vi debbo dire?
Mi manca la parola, un cozzare di idee, una ridda di lieti, tristi fantasie, un presentimento atroce mi tolgono l'espressione....No, No, Non è paura. Io non ho paura! Mi sento ora commosso pensando a voi, a quanto lascio, ma so dimostrarmi forte d'innanzi ai miei soldati, calmo e sorridente. Del resto, anche essi hanno un morale elevatissimo.
Quando riceverete questo scritto fattovi recapitare da un'anima buona, non piangete. Siate forti come avrò saputo esserlo io. Un figlio morto per la Patria non è mai morto. Il mio nome resti scolpito nell'animo dei miei fratelli. Il mio abito militare, la mia fidata pistola (se vi verrà recapitata) gelosamente conservati siano a testimonianza della mia fine gloriosa. E se per ventura mi sarò guadagnato una medaglia, resti quella a Giuseppe...
O Genitori parlate, parlate, fra qualche anno quando saranno in grado di capirti, ai miei fratellini, di me, morto a vent'anni per la Patria. Parlate loro di me, sforzatevi di risvegliare in loro il ricordo di me. M'è doloroso il pensiero di venire dimenticato da essi... Fra dieci, venti anni forse non sapranno nemmeno più di avermi avuto fratello...
A voi poi mi rivolgo. Perdono, perdono vi chiedo, se v'ò fatto soffrire, se v'ò dati dispiaceri. Credetelo, non fu per malizia, se la mia inesperta giovinezza vi ha fatti sopportare degli affanni, vi prego volermene perdonare. Spoglio di questa vita terrena, andrò a godere di quel bene che credo essermi meritato.
A voi Babbo e Mamma un bacio, un bacio solo che mi dica tutto il mio affetto. A Beppe e Nina un altro. Avrei un monito: ricordatevi di vostro fratello. Sacra è la religione dei morti. Siate buoni. Il mio spirito sarà con voi sempre.
A voi lascio ogni mia sostanza. È poca cosa. Voglio però che sia da voi gelosamente conservata.
A mamma, a Papà... lascio il mio affetto immenso. È il ricordo più stimabile che posso lasciare.
Alla mia zia Eugenia il Crocifisso d'Argento, al mio zio Giulio la mia Madonnina d'oro. La porterà certamente. La mia divisa a Beppe, come le mie armi e le mie robe. Il portafoglio (l. 100) lo lascio all'attendente.
Vi bacio
Un bacio ardente di affetto dal vostro Aff.mo Adolfo
Saluti a zia Amalia e Adele e ai parenti tutti."
Si prosegue in salita lungo la strada fino a raggiungere la terza tabella.
Dettaglio del percorso
Dettaglio del percorso
Andromeda (Gianluigi Zeni)
L'ORO VERDE
Tra i tanti effetti di quella fatidica notte di fine ottobre 2018, c'è un cambio radicale nella luce del paesaggio di Marcesina. Con la caduta di migliaia di alberi causata dalle raffiche del vento di Vaia è tornata la luce a colpire questi dolci pendii, tanta tanta luce che prima era adombrata dalle chiome degli abeti. Ciò che ha compiuto il vento in poche ore è lo stesso "lavoro" compiuto dai boscaioli, generazione dopo generazione, con l'intento di portare luce al terreno, per permettere all'erba di crescere e portare così il bestiame a pascolare. Oggi siamo abituati a vacche grandi e rotonde che pigramente calcano il piede su pascoli levigati ed uniformi, interrotti solo dalle pietre affioranti e dai pali delle recinzioni. In realtà questo è solo l'ultimo gradino di un processo molto lungo che dura da parecchi secoli. Da tempo immemorabile, infatti, l'uomo viene in montagna per trarne risorse. Gli studi sui vicini siti preistorici parlano di insediamenti sporadici di uomini che già 13mila anni fa venivano a caccia a Marcesina. Oltre a questo, sfruttavano il bosco per legname da opera o da ardere, costruivano archi con gli olmi che crescevano nelle terrazze naturali che guardano la Valsugana o intagliavano frecce con i rami degli abeti bianchi oppure, ancora, raccoglievano le bacche del sottobosco per il proprio sostentamento.
Man mano che il bosco arretra, crescono erbe e cespugli che possono essere brucati da animali molto rustici come le capre, successivamente arrivano le pecore e solo in ultima istanza si possono portare le vacche che necessitano, non solo di molta più erba, ma anche di acqua. A Marcesina l'acqua è presente in abbondanza grazie ad una particolare geologia che forma addirittura dei ristagni permanenti: paludi con specie peculiari come lo Sfagno (Sphagnus spp.), la Drosera (Drosera rotundifolia) e l'Andromeda (Andromeda polypholia). Oggi gli spazi aperti da Vaia potrebbero andare ad ampliare i pascoli esistenti, ripetendo e rinforzando quel lavoro già svolto nei secoli dai roncatori che, per l'appunto, a suon di roncola iniziarono a coltivare queste zone. Le vacche, però, difficilmente vanno a pascolare tra i salici ed i lamponi che crescono fra le ceppaie divelte, a meno chè non siano costrette dal cane del malghese o dai morsi della fame. In passato, invece, ogni ciuffo d'erba in più era ambito, era prezioso, era conteso.
Ma sebbene i tempi siano cambiati, anche oggi la corretta gestione del pascolo è la medesima del passato. Ci sono due criteri fondamentali: il carico e la turnazione. Il carico è il corretto numero di animali in base all'effettiva superficie pascolabile; esso è determinato dai bandi comunali e controllato dagli organi preposti. Sarà poi il malghese a far sì che i bovini non pascolino nei medesimi luoghi e che, a turnazione, si spostino in zone diverse, in modo che per ogni zona venga brucato l'intero cotico e non solo le essenze che preferiscono. Questo, inoltre, fa sì che si possa evitare l'eccesso di calpestio di alcuni terreni e l'abbandono di altri meno appetiti dal bestiame. Nel tempo, con un errato pascolamento, i prati si riempirebbero di tutte quelle erbe che le vacche non mangiano volentieri come i Cardi (Cirsium spp.), le Ortiche (Urtica dioica), il Veratro (Veratrum album) e che pertanto, riuscirebbero a rifiorire e diffondersi con i loro semi anche nei pascoli vicini, rovinando così il lavoro svolto da secoli per ottenere la Piana di Marcesina come la vediamo oggi.
Fondamentale è anche un aspetto che l'uomo difficilmente controlla: la biodiversità. I pascoli dell'Altopiano dei Sette Comuni superano spesso il dato medio di 100 specie per metro quadro. Questo fa intuire la ricchezza floristica della zona e con essa anche la possibilità per il bestiame di trovare, tra queste numerose specie, un valido alimento per produrre latte di alta qualità, nonché piante medicamentose che per istinto molti animali sanno riconoscere ed utilizzare in caso di necessità.
Procedendo tra leggere salite e discese si arriva ad un tornante dove si apre un bellissimo panorama sulla piana di Marcesina e sulle montagne a nord dell'altopiano e alla quarta tabella.
Dettaglio del percorso
Dettaglio del percorso
Mai Più (Gianluigi Zeni)
Panorama su Marcesina, in fondo spicca Cima XII
LE OPERE DI GUERRA
Nella parte settentrionale della Piana di Marcesina, verso l'ex confine con l'Impero Asburgico, si trova la Cappella di San Lorenzo, eretta presso l'ex cimitero militare del quale restano ancora le vestigia. Qui si trovava infatti un ospedaletto da campo italiano che accoglieva i feriti provenienti dalle prime linee vicine. Questo luogo raccoglieva le spoglie di 2.356 soldati ed era dedicato alla memoria del Tenente Raffaele Stasi, giovane soldato napoletano caduto nelle vette vicine che guardano proprio verso Marcesina.
Con Regio Decreto del 31 maggio 1921 il Ten. Stasi fu insignito della medaglia d'oro al valor militare: “Figlio unico e riformato, subiva un'importante operazione, per ottenere l'idoneità fisica al servizio e si arruolava volontario. [...] assaltando fortissime posizioni, condusse con slancio leonino la sua compagnia nelle trincee nemiche aspramente contese e, giuntovi per primo, cadde colpito a morte da una raffica di mitragliatrice al grido: "Avanti, Savoia!". Sublime esempio di elette virtù militari, di abnegazione, di devozione al dovere e di ardente amor di Patria. Meletta Davanti, 22 novembre 1917.”
Il Capo di Stato Maggiore delle forze armate austro-ungariche (Generale Feldmaresciallo Franz Xaver Josef Conrad conte von Hötzendorf) già a partire dal 1906 aveva concepito lo sbarramento fortificato della Valsugana e Grigno, compresa la costruzione della relativa rete viaria. Dal 1912, infatti, vennero predisposti i progetti per la realizzazione della strada della Barricata, nella parte nord della Piana e, tra ottobre 1913 e giugno 1914, vennero realizzati circa 3 km di strada e 2 gallerie. Le condizioni lavorative erano complesse e si svolgevano su un terreno molto difficile che richiedeva molta manodopera ma, allo scoppio della guerra, rimasero sul cantiere solamente 60 operai per completare le opere di protezione. Inoltre, nella zona a ridosso del confine con il Regno d'Italia, venne costruita una caserma in pietra a tre piani ed a partire dal 1913, venne rafforzato il presidio doganale con la costruzione di un secondo edificio in muratura.
Allo scoppio del conflitto, l'esercito austro-ungarico indietreggiò e l'area passò nelle mani dell'esercito italiano. Successivamente però, a seguito della disfatta di Caporetto, l'esercito italiano si ritirò verso il massiccio del Grappa e delle Melette, e la zona tornò così nuovamente in mano austriaca. Nel febbraio del 1918 ripresero quindi i lavori per la costruzione della strada della Barricata ed il comando d'armata aveva richiesto che per giugno dello stesso anno la strada fosse transitabile e conclusa. Le condizioni lavorative ed orografiche però, erano molto complesse e c'era poca forza lavoro. Il 26 ottobre 1918 il capitano Janowsky ordinò di interrompere i lavori e di prepararsi al ripiegamento in quanto l'esercito austro-ungarico era sul punto di perdere la guerra, pertanto i lavori vennero interrotti.
Nella Piana di Marcesina, in località Buson, è inoltre presente un ex cimitero militare gravemente danneggiato durante la Tempesta Vaia. Il cimitero è stato recentemente restaurato e dedicato al Milite Ignoto. Proprio in queste zone, infatti, a monte Cimone di Marcesina, morì il sottotenente Antonio Bergamas, figlio di Maria Bergamas, la donna che nel 1921 scelse la salma del Milite Ignoto che è ospitata all'Altare della Patria a Roma. Antonio Bergamas era un tenente, volontario irredento che si arruolò come Fante nell'esercito italiano e che fu sepolto nel cimitero militare di Buson assieme ad altri 2720 soldati e 86 ufficiali caduti in quell'attacco del Monte Cimone che durò 8 giorni.
Nel quotidiano Il Piccolo, del 18 giugno 1931 vennero riportate le seguenti parole: “[...] Avvicinandosi l'ora dell'attacco, salutò i camerati con giovialità, come stesse per avviarsi a una festa; e di fatti erano nozze di sangue, ed egli si congiungeva per la eternità con la Patria adorata; gridò la sua gioia di affrontare gli austriaci ed inneggiò all'Italia. Giunto l'ordine di assalto, si gettò innanzi guidando il primo reparto ed eccitando a voce alta i soldati che gli venivano dietro di corsa. Arrivato ad un reticolato, non curante delle scariche nemiche che seminavano la morte, lo superò per il primo, seguito dai suoi soldati; proseguì la corsa avanti, varcò il secondo reticolato e giunse primo fra tutti al terzo reticolato: quivi la mitraglia austriaca lo colpiva in pieno con un proiettile in fronte e cinque proiettili nel petto [...].”
Si prosegue in discesa con i panorami che ci accompagnano.
Dettaglio del percorso
Panorama sul Lagorai
Dopo la quarta tabella e un tornante a sinistra fate attenzione all'incrocio in foto, la tabella che indica il percorso per qualche motivo non c'è più, è rimasto solo il palo. Si prosegue a sinistra lasciando la strada principale.
Dettaglio dell'incrocio, proseguire a sinistra
Dettaglio del percorso
Ricovero in caverna della Grande Guerra
Si arriva così alla quinta tabella.
Dettaglio della piazzola con la tabella
Il tipografo nascosto (Gianluigi Zeni)
IL BOSTRICO
Con la Tempesta Vaia il paesaggio è stato modificato in maniera radicale e quando si parla di paesaggio, non si parla soltanto dell'ambiente naturale fatto di rocce, pascoli, abeti, ecc., ma anche del rapporto tra animali e piante, tra viventi e non viventi, tra umano e non umano. Del rapporto tra questi luoghi e chi li vive!
Le conseguenze di Vaia non sono limitate a quella terribile ed indelebile notte tra il 28 e il 29 ottobre del 2018. Al problema immediato degli schianti, se ne sono aggiunti molti altri come la proliferazione del bostrico che sta creando danni incalcolabili. Il bostrico è un coleottero che attacca l'abete rosso, un piccolo insetto lungo pochi millimetri capace di portare al disseccamento intere foreste in pochi anni. Esso è un compagno di sempre: non è arrivato attraverso i container da qualche paese lontano. È parte di questo ecosistema e fa un mestiere particolarmente utile: uccide gli abeti che non hanno futuro per lasciare spazio al rinnovamento del bosco, nella speranza che sia più forte, più sano e più resiliente, generazione dopo generazione. Inoltre, crea "legno morto": un elemento fondamentale per la vita della foresta che diventa l'habitat di insetti, funghi, uccelli, piccoli mammiferi e molto altro.
Dopo Vaia questo insetto ha trovato le condizioni ideali per il suo sviluppo, soprattutto grazie alla presenza di migliaia di piante a terra ed in combinazione con delle temperature invernali piuttosto miti. Pertanto, il bostrico non può far altro che cibarsi di un piatto che sono stati gli uomini stessi a cucinare. Questo "pranzo perfetto", nei secoli, è stato preparato piantando e soprattutto favorendo l'abete rosso, spesso oltre il suo areale e costruendo così boschi monospecifici, cioè composti tutti dalla stessa specie. Non si è trattato di cattiveria o stupidità da parte dell'uomo ma semplicemente l'abete rosso significava, e significa ancora oggi, legno buono, utile in vari campi, semplice da produrre e redditizio.
Oggi la situazione dei boschi di abete, a causa del bostrico, è drammatica: di fronte a noi possiamo osservare moltissime piante ancora in piedi ma al contempo secche, con la corteccia staccata e l'aspetto tetro. È anche possibile interpretare la questione come un problema dovuto alla crisi climatica. È risaputo, infatti, che nonostante Vaia abbia causato un forte stress alle piante rimaste in piedi spezzando le cime di molti alberi e creando fratture nelle radici, il prolungamento delle stagioni calde dovuto alle temperature più elevate, ha creato una situazione favorevole alla vita dell'insetto. Inoltre, anche la siccità è un fattore che contribuisce ad indebolire le piante di abete.
Le larve del bostrico si nutrono dei tessuti legnosi che si trovano sotto la corteccia ed essi contengono i vasi conduttori che trasportano la linfa per il nutrimento e la vita della pianta. L'aggressione avviene nel seguente modo: dopo aver passato l'inverno nei detriti organici del suolo, a primavera i maschi scelgono "a naso" abeti vecchi o indeboliti, quindi facilmente attaccabili. Inoltre, le larve vivono in simbiosi con i funghi responsabili dell'azzurramento del legno che, come loro, si nutrono delle cellule dei vasi conduttori di linfa nelle piante deboli. L'azione del fungo sul legno facilita lo scavo delle gallerie da parte delle larve, mentre gli insetti adulti trasportano le spore dei funghi durante il loro volo. Questa collaborazione è così sviluppata che "al momento dell'attacco" i funghi inducono l'albero colpito a produrre addirittura sostanze che attraggono il bostrico. Dopo aver scelto la pianta, i maschi forano la corteccia e scavano una "camera nuziale" al di sotto di essa, emettendo sostanze chimiche di richiamo, i feromoni, che attirano su di loro fino a quattro femmine. Queste scavano gallerie che si dipartono dal punto iniziale ed in ciascuna di esse vengono deposte circa 50 uova, dalle quali altrettante larve scaveranno un'ulteriore galleria. L'insieme di queste scanalature create dal bostrico forma un complesso disegno, da cui l'origine del termine specifico "tipografo". Se la stagione di crescita è abbastanza lunga, questo meccanismo può ripetersi due o più raramente anche tre volte ed in questo caso si parla quindi di doppia o addirittura tripla generazione.
Proseguendo il percorso la strada diventa erbosa fino a congiungersi con la strada asfaltata che dal rifugio Valmaron porta verso il rifugio Barricata. Prendendo la strada in salita si raggiunge l'ultima tabella.
Dettaglio del percorso
Vista sulla strada asfaltata
L'ultima tabella
Generazione perduta (Gianluigi Zeni)
TRA STORIA E MEMORIA
La ricostruzione dei fatti storici avviene solitamente attraverso l'analisi di documenti di vario genere tra cui pergamene, iscrizioni, lettere, ecc. Si tratta di uno studio sempre in divenire e continuamente arricchito da nuove informazioni, i cui risultati permettono la comprensione della storia da parte del pubblico. Uno degli obiettivi di questo progetto è illustrare la storia del contesto territoriale di Valmaron e Marcesina, per un apprezzamento dell'identità di questi luoghi nel loro complesso, connettendo tra loro le pietre miliari della storia del territorio ed alternandole alla memoria di chi ci vive o ci è vissuto e portando fino ai giorni nostri la propria esperienza personale: la memoria.
In questa Marcesina (Merck-wisen) da sempre contesa, la Grande Guerra ha rappresentato un momento di cambiamento tutt'oggi evidente, in particolare, nella trasformazione del paesaggio. Questo perché Valmaron e Marcesina, che ricomprendono la dorsale del Monte della Forcellona e del Monte Brustolac, furono un importante centro logistico e retrovia di alcuni aspri combattimenti avvenuti in Altopiano. Le testimonianze visive che si possono ammirare ancora oggi, sono ad esempio il Forte Lisser, cimiteri militari, trincee, gallerie, terrazzamenti, camminamenti, depositi e strade militari: gran parte della strada stessa interessata dal progetto "Connessione delle Memorie" è una ex strada militare. Ecco, quindi, che il territorio rimane oggi un principale testimone di quei tragici eventi accaduti durante la Prima Guerra Mondiale ed è in grado di conservare e soprattutto di trasmettere alle future generazioni delle memorie, in quanto custode di numerose tracce.
La Grande Guerra racchiude anche opere meno evidenti, in particolare delle trasformazioni sociali, oggi invisibili, ma che hanno segnato per sempre la piccola comunità di Enego, come la sua evacuazione avvenuta nel 1917 e riportata da Tony Dimetto (Massimo) in La storia di Enego in cartoline e foto, p. 203:
“La popolazione, avvertita all'improvviso la sera della domenica 4, si mise a piangere dovendo lasciare tutto e riversarsi a piedi fino a Primolano, dove vennero caricati sui carri di bestiame (venticinque su ogni carro) e trasportati in condizioni miserevoli per undici giorni di viaggio fino a Napoli, dove vennero smistati per la provincia di Benevento, verso la Calabria e verso la Sicilia.”
Testimonianze importanti arrivate fino ai giorni nostri grazie a Luigi Pellizzo, Vescovo di Padova, che tra il 15 giugno 1915 e il 30 novembre 1918 scrisse a Papa Benedetto XV n. 146 lettere, informandolo sulle drammaticità della Prima Guerra Mondiale. L'esodo della popolazione fino al sud Italia raccontata dal Pellizzo, a differenza delle trasformazioni paesaggistiche, rimane oggi invisibile e costituisce una memoria collettiva e storica della comunità di Enego, che rischia di essere perduta col passare del tempo. Esiste una parola cimbra ancora oggi utilizzata e diffusa: Heimat, ossia "piccola patria" o meglio "la terra dove voglio vivere". Essa esprime la "forte identità territoriale legata alle tradizioni e all'interazione costante degli antichi cimbri con l'ambiente e la natura" (Pernechele E., La Nuova Ecologia, giugno 2022). Pertanto, questo esodo forzato delle fasce "deboli" della popolazione ha segnato per sempre la comunità eneghese. Ecco quindi che conoscere, interpretare, valorizzare ed interiorizzare, significa anche apprezzare l'arduo e lungo lavoro che le antiche genti hanno svolto per salvaguardare, proteggere e plasmare questa Heimat.
Oggi dovremmo quindi porci questa domanda: come ha vissuto questo tragico esodo la comunità di Enego? Ognuno di noi dovrebbe rispondersi e tramandare alle generazioni presenti e future questa memoria collettiva affinché non vada perduta.
Come si raggiunge:
Da Enego (VI) si procede verso Asiago per circa 6 km dove si svolta a destra seguendo le indicazioni per Marcesina - Valmaron. Si prosegue per altri 6 km fino al parcheggio del Centro Fondo Enego-Marcesina.
Mappa e traccia GPS:
Mappa e traccia Valmaron - Connessione delle memorie
SCHEDA PERCORSO | |
|---|---|
Zona: | Altopiano dei 7 Comuni o di Asiago |
Provincia / Comune: | Vicenza / Enego |
Categoria: | Montagne, Varie |
Tipologia: | Naturalistico, Paesaggistico, Storico, Panoramico |
Periodo storico: | Prima Guerra Mondiale |
Coordinate punto di arrivo: | 45.943753 - 11.629928 (45°56'37" N - 11°37'47" E) |
Coordinate parcheggio: | 45.955136 - 11.638376 (45°57'18" N - 11°38'18" E) |
Altitudine di partenza (m): | 1346 |
Altitudine di arrivo (m): | 1455 |
Altitudine minima (m): | 1341 |
Altitudine massima (m): | 1457 |
Dislivello (m): | 158 |
Difficoltà del percorso: | T - Turistico |
Ore a piedi:(complessive, esclusa visita) | 2 ore 15 minuti |
Km totali: | 7,30 |
Come si raggiunge: | A piedi, In mountain bike |
Tipo di tragitto: | Percorso ad anello |
Data visita: 16/08/2025
Data pubblicazione: 21 Agosto 2025
Autore: Corrado De Zanche