Monte Mosciagh
Accampamento e cimitero austro-ungarico della Grande Guerra (m 1556)
Meta della nostra passeggiata il cimitero dell'armata Austro-Ungarica, dove erano seppelliti 1142 soldati, salendo dalla val Galmarara.
Il percorso classico è provenire dal Forte Interrotto su una vecchia strada militare percorribile a piedi in 45 minuti, ma studiando l'immancabile carta topografica avevamo visto che era possibile partire dalla Croce del Francese in Val Galmarara con un percorso sicuramente più breve.
Il sentiero è quasi tutto in salita con alcuni tratti impegnativi, ma il tutto si risolve in soli 30 minuti di cammino.
Finita la salita si intravedono i primi ruderi, qualche trincea e i classici avvallamenti dovuti a bombardamenti.
Ancora pochi passi e si è arrivati in un piccolo altopiano dove gli Austro-Ungarici avevano costruito due cimiteri di guerra.
La curiosità ci spinge a leggere i nomi sulle targhette delle moltissime croci. Nemici? No, di qualunque fazione siano stati hanno combattuto per una guerra sicuramente non voluta da loro.
Una preghiera per loro ed un ricordo per noi.
Come si raggiunge:
Da Camporovere (VI) direzione Trento. Usciti dall'abitato proseguire per circa 1,5 km, troverete sulla destra una strada bianca che sale. Dopo i tornanti per ancora qualche centinaio di metri trovate sulla destra la Croce del Francese (dove si può parcheggiare) e le indicazioni per il Monte Mosciagh.
In alternativa è possibile partire dal Forte Interrotto (vedi indicazioni).
Mappe Interattive:
SCHEDA PERCORSO | |
---|---|
Provincia: | Vicenza |
Comune: | Asiago |
Coordinate punto di arrivo: | 45.9165 - 11.48843(45°54'59" N - 11°29'18" E) |
Altitudine di arrivo (m): | 1556 |
Difficoltà del percorso: | E - Escursionistico |
Ore a piedi: (andata e ritorno, esclusa visita) | 1 ora |
Come si raggiunge: | A piedi, In mountain bike |
Tipologia: | Storico |
Storia: (dal web)
Maggio 1916
Il comando degli Altipiani mandò l'ordine alla " Catanzaro " di recarsi a frenare l'urto avversario sulla linea di Monte Interrotto - Mosciagh; non si conosceva la sorte dei reparti che lassù s'eran ritirati. Evitando la via scoperta che passa per Asiago, girammo intorno al Sisemol e per Ronchi raggiungemmo il ridente paesello di Gallio, dove ci colse la notte. Non una guida, non un uomo pratico dei luoghi; le truppe stanche, affamate, entrarono nei boschi e procedettero con le misure di sicurezza verso la meta fissata, col pericolo di imbattersi ad ogni passo nel nemico. Misurava la mesta marcia il rombo del cannone austriaco puntato su Asiago e illuminavan di tratto in tratto la densa oscurità le fiamme che si levavano alte dalla città in rovina. Verso le due del mattino arrivammo alle pendici dell'Interrotto e, dopo una breve sosta, salimmo per erti sentieri fra le boscaglie, sulla cima del monte. Ahimè, quale spettacolo All'impazzata fuggivano i cavalli dell'artiglieria; alcuni, gravemente feriti, rantolavano sul terreno, altri si trascinavano a stento verso il piano, allontanandosi dal campo della battaglia. Gli austriaci avevano occupato la cima del monte Mosciagh conquistando due batterie da campagna dopo una lotta a corpo a corpo con i difensori. Noi ci trovammo così impegnati in una mischia insidiosa, perché la densa boscaglia non permetteva di osservare le posizioni dell'avversario. Di fronte all'impeto dei nostri fanti che, pur di avanzare, non si spaventavano delle perdite, gli austriaci si ritirarono, lasciandoci in possesso della cima del Mosciagh, ma senza abbandonare le due batterie da campagna catturate nel mattino. La vittoria era nostra, ma non completa; occorreva liberare i nostri pezzi. Verso il tramonto si scatenò una terribile tormenta che prostrò fisicamente le truppe già provate e affamate: il rancio non arrivava. La giornata seguente passò in continue scaramucce: in una di queste il comandante del mio battaglione, maggiore Corrado, rimase ferito ad un braccio. Non volle lasciare il suo posto di combattimento, non fiatò per non impressionare i soldati: alle nove di sera si doveva attaccare di sorpresa per riconquistare i nostri cannoni. Arrivata l'ora, le truppe fecero irruzione; ma il nemico era all'erta e rispose con un fuoco micidiale di mitraglia e di bombe a mano; la notte calante rendeva terribile la battaglia; le grida degli assalitori si confondevano con i lamenti dei feriti abbandonati sul terreno e calpestati dai compagni che accorrevano. Raggiungemmo i nostri cannoni e li liberammo, ma a prezzo di molto sangue. Io non so quanti furono i valorosi che giacquero nella mischia furiosa: intorno a me, ferito gravemente ad una coscia e confuso con i miei soldati, si levavano alti i lamenti: caduti presso un cannone , avemmo la sventura di non poter essere subito asportati perché contro i pezzi era incessante il fuoco del nemico, il quale contendeva ai nostri il possesso. Finalmente l'alba sorse a riscaldare la nostra completa vittoria e a illuminare il triste campo della lotta. Da questo fatto d'armi, che ebbe una così simpatica ripercussione per tutto il Paese trepidante e commosso, il 141° Fanteria trasse il suo motto glorioso:" Su Monte Mosciagh la baionetta ricuperò il cannone ", e l'insigne scultore calabrese Volterrani l'eternò in una magnifica medaglia di cui ogni fante del Reggimento volle un esemplare che gli fosse caro ricordo. Dal canto suo il Comando Supremo, nel bollettino del 29 maggio si compiacque additare alla riconoscenza della Nazione i combattenti del Mosciagh con queste parole: " Le valorose fanterie del 141° con furiosi attacchi sono riuscite a togliere al nemico e a mettere in salvo alcune batterie da campagna." Ma anche le posizioni del Mosciagh, conquistate con tanto sangue, dovettero essere abbandonate il giorno 28 maggio, perché la linea difensiva era stata dai superiori comandi arretrata al margine meridionale dell'altipiano d'Asiago. " Ritirarci? - si chiedevano i soldati - ma perché ? Mandino altre truppe, si dispongano ai nostri lati, e noi continueremo ad avanzare ". Ma la ritirata era una tristissima necessità ed i fanti obbedirono con nell'animo un grande sconforto, anche perché si dovettero lasciare sul terreno, senza alcuna sepoltura, i nostri morti e, doloroso a dirsi, persino i feriti gravi.
Il nemico incalzava più a Sud e la presenza del Reggimento era indispensabile altrove: tra Magnaboschi e il Cengio. E sulle pendici di questi monti famosi e gloriosi le truppe della "Catanzaro" , insieme coi Granatieri, contesero giorno e notte, a palmo a palmo, il terreno al feroce assalitore; il 3 di giugno la Brigata, attaccata in pieno a Magnaboschi, fece un supremo sforzo e riuscì a ributtare gli Austriaci, che tentarono qualche giorno dopo l'ultima disperata prova allo sbocco della Val Canaglia, tra i monti Barco, del Busibollo e Pau; ancora una volta i fanti della "Catanzaro" si mostrarono più forti del tracotante nemico e lo fiaccarono definitivamente. Furono combattimenti giganteschi, nei quali non si potrebbe dire se più rifulgessero per valore i semplici gregari o gli ufficiali di grado elevato; infatti a Magnaboschi, in uno dei momenti più gravi della mischia, il generale Carlo Sanna e il colonnello Gavino Manunta impugnarono il fucile come umili soldati e attaccarono alla baionetta, portando tra le file dei nostri un indescrivibile entusiasmo che assicurò la vittoria.
Tratto da testimonianze del tenente Adolfo Zamboni (www.cimeetrincee.it/zambo1.htm)
Data visita: 22/08/2007Creato il: 25/12/2007
Autore: Corrado DZ.
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dal cimitero Austroungarico 1° del Monte Moschiagh, proseguendo per una cinquantina di metri in direzione dell'ex forte Interrotto, si incontra sulla sinistra una radura dove è stato posto un cippo dedicato ai Caduti del 141° e 142° Fanteria della Brigata Catanzaro, con tanto di evidente e ben fatto pannello esplicativo, con parecchio testo e foto d'epoca.
Il cippo è stato inaugurato ancora nel 2005.
Evitiamo di indignarci tanto, prima di esserci adeguatamente informati su come stanno le cose.
è vero che pochi segni sono rimasti, perché, per onorate tutti gli eroi della Grande Guerra, Mussolini fece costruire ad Asiago il sacrario Militare facendo raccogliere tutte le salme in un unico posto.
Però, negli ultimi anni, stanno lavorando per far tornare alla memoria i luoghi dove realmente si sono svolti i fatti. Chissà che non mettano una croce anche per la Brigata Catanzaro.
E' orrendo vedere che su quella montagna si ricordano e si celebrano i caduti tra le fila degli invasori austriaci e non c'è una sola croce che ricordi le migliaia di vittime calabresi, valorosi soldati che diedero la loro vita ed il loro sangue per rendere liberi il Veneto ed il Friuli.
Vergogna !!!